Parrocchia

Il QT8 è un quartiere sperimentale, nato all’interno del programma e della Esposizione del VIII Triennale d’Arte del 1947. Come ogni sperimentazione il quartiere ospita esperienze favorevoli e sfavorevoli, ma sempre utilissime ad una indicazione precisa del meglio che in esso, e anche altrove, si dovrebbe fare e del peggio che sarà da evitare. Il QT8 è un esempio, nella casistica italiana e per certi aspetti anche straniera, di un quartiere che libero, anche se solo in parte, dalle codificazioni regolamentari che vincolano altri quartieri della città, l’unico che a Milano presenti le condizioni urbanistiche ideali per l’architettura moderna e nel quale è possibile realizzare, e per qualche caso si sono realizzate , opere di estremo interesse. Le esperienze del QT8 hanno influenzato, e influenzano direttamente o indirettamente, certi aspetti della tecnica urbanistica al di fuori dei suoi limiti territoriali. Citiamo i fatti: nel 1946-47 vi furono realizzate le prime case costruite ex novo a Milano nel dopoguerra per reduci e senza tetto, costruendo undici modelli diversi di case progettate, con concorso nazionale, da esimi architetti di tutta Italia sotto la direzione di Piero Bottoni. Questi modelli furono variamente utilizzati nella ricostruzione italiana. Al QT8 fu realizzato nel 1948 un programma di sperimentazioni di prefabbricazione e montaggio in cantiere di case a 4 piani. Sono queste le uniche sperimentazioni ufficiali fatte in Italia dal Ministero del Lavori Pubblici, assieme a quelle più limitate fatte a Napoli, che furono del resto una diretta conseguenza di quelle di Milano. È sorta al QT8 l’interessantissima casa Ina Casa di 11 piani col sistema a ballatoio e scala esterna, la prima del genere che sia sorta a Milano e in Italia, nonché il primo campo di gioco per ragazzi di Milano. Il QT8 è inoltre il solo quartiere di Milano in cui siano stati realizzati prototipi di architettura straniera (Belgio e Finlandia). Vi furono delle difficoltà nella realizzazione di un così vasto quartiere cittadino, ma i risultati positivi dell’opera sono quelli urbanistici, risultati per i quali si può affermare che in nessun quartiere si Milano esiste un “ambiente” di abitabilità come c’è nel QT8, dove il verde e il paesaggio sono composti con le case e per esse, e dove le migliaia d’alberi piantati garantiscono per il futuro un miglioramento continuo e non un peggioramento della situazione ambientale.

Le caratteristiche del quartiere – Milano, che si trova all’incrocio fra la strada che da Torino va a Venezia e quelle che dalla frontiera nord scendono a Bologna e Genova, ha il carattere di grande emporio commerciale e industriale. L’espansione avvenuta dopo il 1890 ne ha triplicato la popolazione; lo spirito mercantile ne ha fatto una delle città più dense e meno dotate di aree verdi. La maggior marte dei giardini patrizi sono stati sommersi dalle costruzioni. Per interrompere l’espansione continua e indifferenziata della città, il Piano regolatore del dopo guerra previde la creazione di nuclei residenziali autonomi e vicini, ben isolati da fasce verdi. In tale piano è stata individuata la zona di espansione della città nel quadrante a nord con le sue direttrici principali nel viale Zara e nel corso Sempione e con caratteri ben determinati: il viale Zara come espansione lontana e corso Sempione con quartieri satelliti più vicini. Il QT8 è appunto il primo di questi quartieri. Adiacenti ad esso si estendono l’ippodromo, le scuderie, le piste di allenamento che garantiscono una magnifica riserva di verde a sud. Il Lido a sud-est e una fascia di parco creata a nord lo isolano dai quartieri del corso Sempione.
Confini: Il QT8 è delimitato a nord da una strada di alimentazione derivata dal Viale Scarampo, ad est dalla Via Serra, a sud da Via Diomede e ad ovest dalla Via Sant’Elia. Superficie: La superficie totale compresa fra le strade periferiche accennate è di 94 ha. circa.
Il verde: La superficie verde del quartiere è complessivamente di 673.470 mq, così suddivisa: 375.694 mq sistemati a parco (campi di gioco per lo svago e il riposo) e 297.776 mq destinati ad orti e giardini. Ogni abitante in percentuale dispone di mq. 80 di verde, quando la media in Milano è di mq. 3-5 a cittadino.

La chiesa – Il progetto della chiesa è frutto di un concorso nazionale bandito dalla VIII Triennale nel 1947. I vincitori del concorso, attenendosi al bando, hanno adattato la planimetria della chiesa ed annessi edifici parrocchiali alla forma del terreno, ma essendo la pianta delle costruzioni libera ed articolata, il progetto è rimasto valido anche quando la chiesa ha dovuto essere costruita su altra area. La chiesa a forma circolare è disegnata a forma di tenda, infatti gli architetti Vico Magistretti e Mario Tedeschi hanno svolto il tema annunciato nel prologo del Vangelo di Giovanni: “Il Verbo si è fatto carne e venne a porre la sua tenda tra noi.” (Gv.1,14)
In mezzo alle “tende” degli uomini sta la “tenda” di Dio.
E’ stata impiegata la tecnica moderna del cemento armato. Con arditi calcoli, per l’epoca di costruzione, tutto l’edificio circolare si sorregge sui pilastri e muri perimetrali, senza l’ausilio di colonne interne. Abbinati al cemento armata sono i mattoni a vista, materiale tradizionale delle chiese lombarde.
Nella sua disposizione definitiva la chiesa ha un magnifico sagrato realizzato a giardino aperto direttamente sul centro del Quartiere. La pianta adottata è circolare e il volume nasce logicamente da quest’ultima per la sovrapposizione di due cilindri di raggio e centro diverso.
Da tale sovrapposizione si definiscono sul piano del sagrato il portico, al piano superiore il matroneo, dove trovano posto l’organo e la cantoria. La chiesa, però, non è a pianta centrale e il presbiterio, anch’esso circolare, è il fuoco sul quale gravitano gli ordini dei banchi e gli spazi liberi destinati ai fedeli. Nella composizione di cerchi che costituisce il “tema” planimetrico della chiesa, si inserisce il battistero. La copertura a tetto è a padiglione a più falde, il grande matroneo è sorretto da un muro circolare a nido di ape, in cotto. La statua della Madonna è in marmo di Carrara ed è opera dello scultore Enrico Lodi. Degli artisti della Val Gardena è il grande crocifisso sovrastante l’altare.

Il santuario di Lampugnano – Molte sono le ipotesi riguardanti il nome Lampugnano: lo studioso Sarzi Amadè afferma che questo toponimo è rimasto invariato per oltre milleduecento anni, ma non possiamo sapere con certezza se il nome derivi da quello di una famiglia antica o sia ascritto da sempre a questo territorio. I documenti antichi, come il Codex diplomaticus Longobardiae parla di persone “de Lampuniano”. Si presume una origine celtica del nome, forse composto da “Lam” e “Epona” e significherebbe: territorio sacro a Epona, la dea cavalla dei Celti, protettrice dei cavalieri e dei cavalli. Altri, come lo storico Velleio Patercolo, farebbero risalire il nome Lampugnano alla Famiglia romana Lamponia che ebbe tra i suoi membri l’illustre Marco Lamponio promotore della guerra sociale del 90 a.C.
Anche la storia del territorio di Lampugnano non è facilmente ricostruibile.
Nel sesto e quinto secolo a.C. i Celti occuparono questa zona; vi trovarono boschi millenari e un fiume, l’Olona, pescosissimo. Il motivo dello stanziamento non derivò da ragioni climatiche quanto invece dall’abbondanza delle acque.
In epoca romana l’Olona e il Nirone hanno avuto un ordinamento che permise un utilizzo più razionale dei canali: in tale in epoca tutta la zona era percorsa da una fitta rete di vie, soprattutto assumeva molta importanza la strada Mediolanum-Novara che facilitava le comunicazioni tra la regione cisalpina e le zone transalpine.
Abbiamo preziose notizie su Lampugnano per una famiglia Lampugnani che ebbe esponenti illustri fin dal nono secolo, per esempio Odelberto da Lampugnano che nel 864 agiva come avvocato di S. Ambrogio, Arnolfo da Lampugnano vescovo a Bergamo nel 1070 e Filippo da Lampugnano titolare della cattedra di S. Ambrogio dal 1196 al 1206. Le cronache cittadine parlarono a lungo di Giovanni Andrea Lampugnani che il 26 dicembre 1476 con Girolamo Olgiati e Carlo Visconti assassinò, sul limitare della chiesa di S. Stefano a Milano, il duca Galeazzo Maria Sforza.
La famiglia Lampugnani appoggiò molte iniziative benefiche della città con donazioni,legati, lasciti ad opere di carità; il fatto è attestato dalla presenza nella Quadreria dell’Ospedale Maggiore di ritratti di parecchi nobili Lampugnani fra i benefattori di quell’opera pia.
Lo storico Giorgio Giulini assicura che a Lampugnano vi fu un monastero femminile.
Le monache benedettine ebbero una influenza spirituale nella diffusione della devozione mariana e anche una benefica influenza sull’economia del territorio: una visura del catasto dei beni ecclesiastici del 1549 segnala la presenza di un monastero nel territorio di Lampugnano che in seguito non sarà più menzionato.
La vita che ritmava questo piccolo borgo ai margini della città agli inizi del XVII secolo era di serena e laboriosa attività contadina se la quiete della campagna invogliò i canonici del duomo a cercare in Lampugnano la sede per la loro villeggiatura estiva. E’ da questa circostanza che nasce il santuario di S. Maria Nascente in Lampugnano.
Per venire ai nostri giorni è necessario citare il nome di due persone che fecero grande Lampugnano quando, alla fine del secolo XIX, questo territorio divenne il centro dell’ippica italiana per merito di Felice Scheibler (1856-1921) e di Federico Tesio (1869-1954).
Scheibler pioniere dell’ippica italiana fondò a Barbaricina, vicino a Pisa, un celebre allevamento di cavalli: dalle sue mani passarono tutti gli acquisti dei terreni adiacenti a S. Siro, fu suo il parco di Trenno (prima chiamato Scheibler) come i terreni e le case adiacenti al Santuario di Lampugnano. Il nobile Federico Tesio fu un protagonista dell’ippica mondiale: dalla razza Dormello Olgiata vennero purosangue celebrati, in tutto il mondo, sono note le vittorie di Nearco, di Ribot, di Botticelli e dei loro discendenti.
Sull’esempio di Tesio, altri personaggi importanti dell’alta società milanese divennero proprietari di scuderie come: Crespi, Ramazzotti, Miani, De Montel, Marchetti, Luchino Visconti ed altri. Le scuderie sorte secondo il modello inglese divennero fonte di vita e di lavoro per gli abitanti di Lampugnano. Nel 1929 si inaugurò il nuovo ippodromo ed ebbe inizio il periodo d’oro dell’ippica milanese ed italiana.
La passione ippica è ancora importante a Lampugnano, anche se questa non è più l’occupazione prevalente degli attuali residenti.
Il 18 agosto 1927 il santuario di Maria Nascente, con decreto firmato dall’Arcivescovo Eugenio Tosi, fu eretto a parrocchia. Resterà fino al 1954 il centro religioso di tutta la zona, anche del “Quartiere Sperimentale Modello” dell’VIII Triennale d’Arte, fino alla edificazione della chiesa moderna, capace di accogliere i numerosi fedeli che dall’immediato dopo-guerra si sono insediati al QT8.

La nascita dell’oratorium di Lampugnano – I primi documenti ufficiali riguardanti la storia dell’oratorium di Lampugnano sono una relazione della visita pastorale dell’arcivescovo di Milano Federico Borromeo, in data il 31 ottobre 1605; della visita esistono due stesure, scritte a mano in lingua latina. Da questi scritti si apprende che questo Santuario si chiamava oratorium Nativitatis Beatae Virginis Mariae e che fu costruito per l’interessamento ed anche i contributi in denaro di Mons. Alessandro Mazenta, Canonico Maggiore del duomo di Milano. L’oratorio permetteva ai canonici del Duomo di celebrare la S. Messa quotidiana quando, nel periodo estivo, si trasferivano a Lampugnano per le loro vacanze.

La chiesa, come prescrisse S. Carlo Borromeo, ha linee semplici ma non disadorne e fu dai Canonici dedicata a Maria Nascente, come il Duomo.

La descrizione del santuario – La costruzione, a pianta rettangolare, rimanda alla basilica romana ed alla sinagoga ebraica, misura m. 7,5 x 19,5 e, come tutte le chiese antiche, è rivolta ad oriente; i tre gradoni di accesso e l’architrave del portale sono in marmo non levigato di tenue colore rosa.

La facciata è a una sola luce e il timpano è sormontato lateralmente da due acroteri a forma di pigna e dalla croce al centro.
L’interno è ad una sola navata, suddivisa in tre campate da lesene in muratura; prende luce da quattro finestre, due per ogni lato, abbellite da vetrate inserite in epoca recente, che riprendono la tecnica medioevale di segmenti di vetro inseriti in guide piombate, un’altra finestra ad arco a tutto sesto illumina il presbiterio.
Il soffitto della navata è a cassettoni, in legno, molto semplici; il presbiterio ha il soffitto a vela in cui sono affrescati i quattro evangelisti; il pavimento è in cotto che manifesta il logorio del tempo, il corridoio centrale è stato rifatto in pietra.
Il battistero del secolo XVI, la cui vasca è costituita da un unico blocco di marmo rosa lavorato a mano, è posto all’ingresso sul lato sinistro e delimitato da una piccola cancellata in ferro battuto. L’arco di trionfo che unisce la navata al presbiterio è sostenuto da pilastri nascosti in muri laterali ed è ornato da decorazioni floreali a intreccio; dal centro dell’arco pende un crocifisso in legno scolpito di epoca secentesca; una trave lignea traversale che congiunge gli estremi dell’arco porta la scritta in caratteri d’oro: “Mors mea, vita tua”.
Sull’altare troneggia una pala di cm 260×185 raffigurante “La nascita della Vergine” e attribuita al Procaccini, inserita in una cornice lignea barocca; questa cornice prosegue formando il resto dell’altare e della mensa eucaristica.
E’ di interesse artistico “La Madonna del Cardellino” del secolo XVI , un olio su tavola accolta in una elegante ancona barocca.
Sulla parete di sinistra un affresco attribuito alla scuola di Luini che rappresenta “L’Adorazione dei Magi”; in esso si nota una distribuzione dello spazio che dà l’illusione di continuare oltre il dipinto, ottenuta con una sapiente tecnica, resa con lo snodarsi del corteo che va ad adorare Gesù Bambino. Non esiste la grotta o la capanna, ma, con gusto rinascimentale, il Divino Bambino è a contatto diretto con la natura, segno che accentua e attualizza l’umanizzazione del Figlio di Dio; la Madre è raffigurata come colei che porge il Bambino. Ai piedi di Gesù i tre re manifestano negli abiti e nel volto la diversità delle razze e rappresentano l’intera umanità salvata da quella nascita prodigiosa. Il corteo con cavalli, cani e cavalieri rispecchiano l’idea della corte e della regalità di coloro che stanno adorando il Bambino.